Rhodri Davies di Charities Aid Foundation (CAF) osserva che le chatbot, grazie all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale, potrebbero mutare la percezione della filantropia, non solo il suo impatto. Come? Spostando il focus sul “mass-market commodity”. La sfida non è più contendersi i grandi donatori, ma attrarre i piccoli. Offrendo loro la garanzia di tracciabilità in tempo reale delle loro donazioni
Mentre l’entusiasmo si è rapidamente dissolto nei settori del commercio e delle pubbliche relazioni, un certo ottimismo per le chatbot si registra nell’ambito del Terzo settore. Nel mondo del non profit, il tema dei chatbot, ovvero di quei programmi che permettono di automatizzare risposte e messaggi nell’interazione con un soggetto umano, è sempre più declinato in termini di raccolta fondi o di strategie di engagment per le campagne sui social.
Chatbot: tentazione per il Terzo Settore
Rhodri Davies, di Charities Aid Foundation (CAF), osserva che le chatbot, grazie all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale, potrebbero mutare la percezione della filantropia, non solo il suo impatto. Come? Spostando il focus sul “mass-market commodity”. Un problema sentito soprattutto nei paesi anglosassoni, dove la sfida non è più contendersi i grandi donatori, ma attrarre i piccoli. Donatori di piccole somme che, proprio grazie alle chatbot possono essere raggiunti attraverso strategie one-to-one.
L’automazione non interverrebbe qui sostituendo il fundraiser umano, ma lo coadiuverebbe. O, meglio, colmerebbe un vuoto là dove associazioni e organizzazioni no profit di modeste dimensioni, vista la scarsità di risorse e di tempo, non riescono a formare, preparare o impiegare persone. La partecipazione attiva anche dei piccoli donatori verrebbbe inoltre calibrata e mirata allo scopo, «massimizzando la loro soddisfazione» perché sarebbe in grado di offrire un monitoraggio continuo delle azioni realizzate attraverso le microdonazioni.
Un nuovo divario digitale
L’esempio portato da Davies è la chatbot realizzata da Arthritis Research UK in collaborazione con Microsoft e basata su Watson AI. Le chatbot, suggerisce Davies, possono essere di aiuto soprattutto per le piccole organizzazioni, che mancando di personale, perdono occasioni di finanziamento. Si sta dunque producendo un nuovo divario digitale, stavolta fra piccole e grandi organizzazioni de Terzo Settore. Le chatbot non sono certo la soluzione. Ma in questo caso non sono nemmeno il problema.
Il report UK Small Charities Sector Skills Survey della Foundation for Social Improvement rileva che il 61% delle persone intervistate, su un campione di ricerca di 326 operatori del Terzo Settore, dichiara di avere carenze in termini di competenza nell’uso strategico delle nuove tecnologie a causa del mancato aggiornamento. La ragione di questo nuovo digital divide, che intacca fortemente le potenzialità del welfare sussidiario, sarebbe causato dalla carenza di risorse del proprio ente. Il 58% attribuisce il problema alla mancanza di tempo. Nonostante il 66% degli intervistati dichiari di raccogliere fondi prevalentemente online, è proprio nel digital fundraising che si avvertono i problemi maggiori.
L’intelligenza artificiale, correttamente intermediata, potrebbe dunque divenire un supporto essenziale per la cosiddetta “intelligenza naturale”?
Ricordiamo, per chi fosse interessato a questi temi, l’incontro di sabato 12 maggio presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo (via Romagnosi 8, a Milano, dalle h 15). Si discuterà di Intelligenza artificiale vs. Intelligenza naturale con relatori di eccezione, fra i quali sir Roger Penrose e Emanuele Severino. Qui il programma
Fonte: vita.it
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