Per le Associazioni Sportive dilettantistiche, come stabilito dalla CORTE DI CASSAZIONE con l’Ordinanza 30 aprile 2018, n. 10393, la sola iscrizione al CONI non garantisce la sussistenza dei requisiti per le agevolazioni
Per espressa previsione normativa gli enti di tipo associativo godono di un particolare regime fiscale agevolativo, a condizione però che gli stessi rispettino una serie di requisiti. Tra questi rientra, per le associazioni sportive dilettantistiche, anche la registrazione dell’associazione sportiva dilettantistica al Registro CONI, finalizzata all’ottenimento dello status di Ente Sportivo. Ma come specificato dalla Corte di Cassazione, la sola iscrizione al CONI non garantisce la sussistenza dei requisiti per il godimento del regime agevolato.
Le associazioni Sportive Dilettantistiche, così come gli altri enti di tipo associativo, possono fruire di particolari benefici fiscali. In tal senso l’art. 148 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) stabilisce un regime tributario agevolato riferito all’attività che questi soggetti svolgono nei confronti degli associati o dei partecipanti all’associazione, con specificazione che le quote o i contributi associativi versati non concorrono a formare il reddito complessivo.
Il comma 3 del citato art. 148 del TUIR prevede inoltre che: “Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, sportive dilettantistiche non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.
Con precipuo riguardo alle associazioni sportive dilettantistiche, l’art. 90 della L. 27 dicembre 2002, n. 289 prevede precise disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica e ai commi 17, 18 e 18-bis vengono elencati i requisiti che le ASD devono rispettare per il riconoscimento dei previsti benefici fiscali.
Pertanto per mantenere il regime agevolativo in argomento, le associazioni sportive dilettantistiche devono rispettare tutta una serie di condizioni (quali ad esempio l’indicazione nella denominazione sociale della finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica, o il fatto che la ASD debba essere costituita con atto scritto nel quale deve essere indicata, tra l’altro, anche la sede legale, o ancora che nello Statuto deve essere espressamente prevista l’assenza di fini di lucro e deve essere esplicitata la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi tra gli associati, neanche in forme indirette).
Perdita del regime agevolato in assenza dei previsti requisiti
Con la recente ordinanza n. 10393 del 30 aprile 2018, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il delicato tema del regime fiscale agevolato riconosciuto alle associazioni sportive dilettantistiche.
La Corte è stata interessata da un ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate per un accertamento con il quale l’Ufficio, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza a seguito di una verifica fiscale, ha disconosciuto la natura di associazione sportiva dilettantistica di una ASD veneta, equiparandola di fatto ad una società commerciale e recuperandone, per l’anno d’imposta 2008, le imposte dovute per IRES, IVA e IRAP.
Atteso che il ricorso è stato proposto dall’Agenzia delle Entrate perché la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva precedentemente accolto il ricorso presentato dalla ASD interessata, la Cassazione ha dapprima riepilogato gli elementi indiziari che hanno indotto in primis la Guardia di Finanza e poi l’Agenzia delle Entrate a ritenere che la ASD veneta operasse in realtà alla stregua di una vera e propria società commerciale, per poi evidenziare come la CTR è giunta in pratica alla conclusione che l’iscrizione nell’apposito registro tenuto dal CONI possa garantire la sussistenza dei requisiti per il godimento del regime agevolativo.
Di contro i Giudici, rimanendo nel solco dell’orientamento giurisprudenziale in materia, hanno affermato i seguenti principi di diritto:
«In tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dall’art. 148 del D.P.R. n. 917/1986 in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al CONI» (cfr. Cassazione sez. V, 5 agosto 2016, n. 16449);
le suddette agevolazioni tributarie di cui all’art. 148 TUIR in favore di enti di tipo associativo commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, «si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto» (cfr. Cassazione sez. V, 11 marzo 2015, n. 4872).
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 aprile 2018, n. 10393
L’Amministrazione finanziaria denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 90, commi 17 e 18, della legge n. 289/2002 e dell’art. 148 del d.P.R. n. 917/1986 (di seguito TU IR), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere negato rilevanza indiziaria agli elementi, addotti nell’atto impositivo, sulla base delle risultanze del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, che inducevano a ritenere che l’ASD Formula — che gestiva una palestra con piscina e termarium — operasse alla stregua di una vera e propria società commerciale.
Detti elementi — che l’Amministrazione finanziaria ha in dettaglio elencato in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione — consistono: a) nell’identico contenuto, nel corso degli anni, dei verbali dell’assemblea dei soci e del consiglio direttivo; b) nella mancanza delle delibere del consiglio direttivo in ordine all’ammissione di nuovi soci in violazione dell’art. 14 dello Statuto, che prevede che il Consiglio direttivo debba deliberare sulle domande di ammissione dei soci; c) nella mancanza dell’accettazione della domanda da parte del Presidente del Consiglio direttivo; d) nella mancanza di regolamenti interni relativi all’attività sportiva; e) nella mancanza di promozione dell’attività sportiva approvata dall’assemblea; f) nell’essere i verbali dell’assemblea dei soci sistematicamente firmati da due soli soci, senza che in essi sia dato conto dei presenti; g) nel desumersi la fittizietà delle riunioni assembleari dall’assenza di adeguate modalità di convocazione dell’assemblea, come peraltro confermato dalle dichiarazioni dei soggetti intervistati in sede di accesso, che avevano dichiarato di non avere mai ricevuto avvisi di convocazione dell’assemblea; h) nella mancanza di locale idoneo ad ospitare tutti gli associati (circa 2400- 2500 persone); i) nella mancata utilizzazione della sigla “ASD” in tutte le comunicazioni rivolte agli associati e nei segni distintivi dell’associazione, nelle quali è dato rilievo alla parola “club”; 1) nella mancata istituzione di un libro dei soci e di un libro cassa in formato cartaceo; m) nel non avere mai l’associazione, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 2 dello Statuto, promosso o organizzato manifestazioni sportive; n) nella mancanza del vincolo associativo riscontrata dalla carenza dell’esercizio dei diritti e doveri connessi alla qualità di soci, alcuni dei quali, intervistati, si sono qualificati come “clienti”; o) nell’adozione di forme di pubblicità, di tariffe differenti, a seconda del servizio reso e di sconti e promozioni propri di una tipica società commerciale, p) nella commistione di rapporti con la P & P S.r.l., svolgente attività di gestione di palestre e piscine, avendo detto società, della quale sono soci i fratelli P. e P. De V., e l’ASD, iniziato l’attività nello stesso periodo, che svolgono sotto la medesima insegna, occupando gli stessi dipendenti ed avendo la stessa sede legale, avendo ricevuto i locali dove operano in locazione da società facente capo al padre dei germani De V., essendo infine il rapporto tra la P & P S.r.l. e l’ASD regolato da convenzione in virtù della quale la prima s’impegna a cedere in gestione alla seconda le attività sportive di palestra, piscina e termarium, verso il corrispettivo di un canone mensile e del sostenimento dei costi di ordinaria amministrazione.
Ne consegue, quindi, che come qui stabilito dalla Corte di Cassazione, alle ASD non basta provare la regolare iscrizione al Registro del CONI per poter beneficiare delle esenzioni fiscali, ma è necessario dimostrare l’effettivo svolgimento dell’attività associativa, dell’assenza di un fine di lucro e del coinvolgimento dei soci, nel totale rispetto dei requisiti normativi previsti.
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